A dire il vero, mi sentivo pronta per una vacanza non basata sulla gastronomia. Ecco perche’, quando ho deciso di partecipare ad un camping safari in Botswana di 11 giorni, mangiare era l’ultima delle mie preoccupazioni. Ero molto piu’ concentrata sull’esperienza naturalistica piuttosto che nel fare nuove scoperte culinarie. Sapevo che ci sarebbe stato un cuoco con noi, ma immaginavo che avremmo mangiato per lo piu’ fagioli in scatola e pure’ disidratato – piatti tipici da campeggio. Ma mi sbagliavo di grosso.
Usando solo 3 pentole di ghisa e il fuoco dell’accampamento, il nostro cuoco – Titi – ha preparato ogni giorno pasti creativi, elaborati e di piu’ portate. Ricoprendo una pentola di braci e trasformandola quindi in un forno improvvisato, ha servito anche pane e torte fresche fatte al momento. Facendo rifornimento ad ogni cittadina o villaggio che abbiamo incontrato, Titi ci ha deliziato con piatti a base di prodotti locali, ad esempio kudu e impala. Uno dei piu’ memorabili secondo me e’ stato lo stufato di coda di coccodrillo con peperoni e ananas.
La qualita’ dei pasti e’ stata una grande sorpresa, talvolta messa in secondo piano dalle esperienze mozzafiato che la savana offre. Infatti, se da un lato parlo dell’aspetto culinario del viaggio, dall’altro non mi sogno nemmeno di descrivere cio’ che ho visto e provato nei diversi ecosistemi che ho attraversato. Ci sono centinaia di racconti, diari e romanzi al riguardo, film documentari e fotoracconti, ma nessuno di questi puo’ rendere giustizia alla varieta’ di sensazioni che si provano ad attraversare di persona queste terre vaste, antiche e misteriose. E’ stato un viaggio indimenticabile, che i panini freschi al mattino non hanno certo reso meno affascinante.
Bellissimo post Laurel, trasmette perfettamente l’emozione che hai provato.
Besos
Paula